sabato 1 marzo 2014

La Grande Bellezza che forse ho trovato, forse no

La mia terrazza preferita di Roma. E ben prima di Sorrentino e Jep Gambardella

Confesso spudoratamente due cose: la prima è che al termine della prima visione questo film non mi è affatto piaciuto, e la seconda è che al termine della quarta visione continuo a ritenere che un sacco di roba potesse essere tranquillamente tagliata, come l'imbarazzante "episodio" finale sulla Santa.
Tuttavia è stata proprio una dichiarazione di Sorrentino a costringermi a tornarci e tornarci per scavare nei fotogrammi a caccia di un senso, l'utilizzo dell'incipit di Viaggio al termine della notte di Céline a dirmi che non poteva essere il ciarpame che sembrava.
In un'intervista, infatti, il regista si è interrogato sul perché un film tutto sommato così innocuo avesse innescato nella critica italiana reazioni molto più viscerali di un film politico come Il Divo.
Che nervi scoperti è riuscito, più o meno inconsciamente, a toccare?
E così mi sono messa a guardarlo e riguardarlo, liberandomi ogni volta di uno strato di pregiudizio, perché se c'è una cosa che amo del cinema è la possibilità che ti dà di vedere il mondo con gli occhi di un altro.
Se paragone con La Dolce Vita deve essere, che sia proprio in questo aspetto e in nient'altro: Jep Gambardella è il filtro di Instagram attraverso cui vediamo deformata Roma e la sua alta borghesia, più o meno come il disincanto di Mastroianni era quello scelto da Fellini a suo tempo.
Manca, tuttavia, a Sorrentino, quella vena misticista, o forse, più semplicemente, l'apporto prezioso del Pasolini di turno.
Non gli manca, però, una certa volontà di critica sociale, e in questo non solo si discosta dal modello felliniano, ma addirittura lo ribalta.
Il soggetto e l'oggetto del film è Jep Gambardella, incarnazione della classe intellettuale italiana, che sperpera il proprio talento e si volta dall'altra parte per non dover affrontare i reali problemi.

-Ma tu conosci tutti? Certo che deve essere una bella soddisfazione!
-Conoscere tutti è una chiara assicurazione infelicità.
-Perché, la gente ti ha deluso?
-Forse sono stato io a essere deludente.

È a Jep che tutti si rivolgono per un consiglio, e a tutti Jep cerca di portare il suo misero, inefficace aiuto. È Jep che sente il peso del suo fallimento, è Jep che perde tutto quello che c'è da perdere: il cammino della Grande Bellezza è l'autocoscienza di un uomo a cui non rimane che tornare a scrivere, un uomo che ha perso parte del suo mondo ma non il talento.

Comincia sempre così, con la Morte.
Ma prima c'è stata la Vita.

La morte con cui si scontra Jep è reale e metaforica, è cambiare pelle, rimescolare le carte.
La Vita a cui sembra rinunciare non è mai stata veramente vita, così come per Céline non è vera vita viaggiare per il solo gusto di  immaginare se stessi su un altro fondale.
Il chiacchiericcio e il rumore sono gli strati di terra che seppelliscono il passato, ed è questa metafora archeologica che rende Roma l'unica città in cui era possibile ambientare un film simile.
Città dove, per usare le parole dello stesso Sorrentino, il Sacro e il Profano si mescolano in maniera naturale, dove lo scorrere dell'acqua (fontane, il fiume Tevere) è il filo rosso che collega tutte le storie, dove una quinta architettonica si fa altare per la messa laica che celebra la bellezza di una città sbilanciata.

Crazy, but beautiful

E speriamo che domani sera Sorrentino possa tornare a dirlo sul palco più prestigioso di sempre, perché anche se con questo film farò sempre un po' a botte, sono convinta che pochi, più di lui, in Italia meritino di vedere quella statuetta in bacheca.

Nessun commento:

Posta un commento