venerdì 4 luglio 2014

Consigli di lettura: Il cardellino, di Donna Tartt

Scommettete che a fine lettura vorrete il poster in camera?
Comincerò questo post con una digressione.
Avete mai sentito parlare di Edward C. Harris?
No?
Non preoccupatevi: a meno che non siate laureati in archeologia è perfettamente normale.
Perché Edward C. Harris è, appunto, un archeologo, per la precisione l'archeologo che ha formulato le regole dell'attuale metodologia di scavo. Nello specifico l'aneddoto più interessante che lo riguarda è quello legato alla nascita di un particolare schema, il "Matrix di Harris" che è uno degli strumenti di studio più importante per chi lavora sul campo. Harris si formò nel cantiere della Lower Brook Street di Winchester, dove vennero asportati con chirurgica precisione qualcosa come diecimila strati di terreno.
Ora, a meno che voi non siate tra i convinti sostenitori della tesi per cui l'archeologo è una figura a metà tra il contrabbandiere e il detective sempre a caccia di tesori dovreste sapere (e se non lo sapete ve lo dico io) che in realtà questo lavoro è più vicino ai rilievi della polizia scientifica dopo un delitto, il che equivale a dire, in altre parole, che il fine ultimo di uno scavo è ricostruire la storia di una precisa area geografica basandosi su indizi concreti, materiali e non.
Capirete che un'indagine da diecimila e rotti strati di terra è un affare un ciccinello complicato, ed ecco che Harris, per far fronte alle difficoltà, elabora l'idea per uno schema che metta, appunto, in relazione e ordine tra di loro gli strati scavati.
Perché vi ho raccontato tutto questo, quando la foto in alto e la sinossi che potete facilmente reperire ovunque dicono che il romanzo parla di tutt'altro?
La risposta è che il protagonista di questo bellissimo romanzo (premio Pulitzer meritatissimo, tra l'altro), Theodore Decker, mi ha ricordato molto, moltissimo Harris: la sua vita è stata un enorme casino privo di logica e l'unico modo che ha per orientarvisi (e far orientare, di conseguenza, noi lettori) è sedersi a un tavolino e cominciare a raccontarla.
In prima persona, sempre e comunque dal suo punto di vista (espediente narrativo, questo, particolarmente utile per rendere colpo di scena qualche passaggio di trama che con un narratore onnisciente non sarebbe stato tale), da un metaforico inizio a una metaforica fine che non sono nascita e morte in senso anagrafico, ma perdita fisica (enorme, incolmabile) e rinascita interiore, fine e inizio del rapporto con il dipinto che da il titolo al libro e che potete ammirare in apertura di post.
Theo ha una storia incredibilmente simile al quadro a cui si lega in maniera ossessiva, e solo mettendo ordine nelle vicende che li hanno tenuti legati per anni potrà trovare una sorta di salvezza.
Si è parlato, nelle recensioni, di un romanzo ibrido che è per metà romanzo di formazione e metà thriller: credo ragionevolmente che non sia né l'uno né l'altro.
Il cardellino è una catarsi, lenta e lunga come è giusto che una catarsi sia, per costruire la quale Donna Tartt si affida a Dickens, Salinger e Dostoevskij (quello de L'Idiota, e Dio solo sa quanto abbia apprezzato il modo in cui l'ha citato) ma come mattoni e calcestruzzo, non certo come fondamenta.
Il romanzo, infatti, parla di altro: Theo è Il cardellino ma a questo quadro rimane incatenato da una serie di coincidenze che però, in qualche modo, e senza alcun disegno particolare a monte, lo spingono a intraprendere un mestiere preciso, quello di antiquario che, come capirà solo alla fine, è per lui più di un lavoro, ma lo scopo stesso della sua esistenza.
Ci vorranno un mare di peripezie, persone perse e persone ritrovate, amori perduti e amori creduti tali, per arrivare a farglielo ammettere, e a farlo capire a noi lettori.
Il contatto ravvicinato con quel dipinto ha forgiato Theo, e la storia di Theo finisce per conferire valore aggiunto a quella del dipinto: Donna Tartt riesce ad andare oltre le considerazioni più ovvie sull'importanza che l'arte ha non solo per noi inteso come genere umano, ma proprio per noi in quanto singoli individui, mettendo sul piatto un punto di vista poco esplorato.
A questo proposito io trovo ammirevole anche solo la maestria nell'essere riuscita a creare un libro non partendo dall'ennesima opera perduta, ma da un dipinto realmente esistente e perfettamente al suo posto: la sospensione dell'incredulità non subisce mai scosse, anzi.
In definitiva, se siete persone di poche pazienza non so quanto consigliarvi questa lettura.
Ma se siete persone curiose, sempre disposte a farsi domande su se stessi e su come nascano le passioni che ci definiscono (cioè quelle che decidono della nostra vita e carriera), allora questo è il testo che fa per voi.

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