giovedì 23 maggio 2013

Racconto: Pet Society


Note: questo racconto è stato pubblicato nel quarto numero della Rivista Letteraria Fralerighe Crime


Pet Society




“Lei ci va su Facebook, Maresciallo?”
L’uomo che stava parlando lo chiamavano Pozzo perché era nero nero come la morte, compresa la voce.
Tuttavia aveva la fedina penale meno sporca di quanto la gente credesse, tanto che, per esempio, non aveva mai ammazzato nessuno.
Ma in fondo al pozzo è buio, non si riesce a vedere e la gente non ha idea di cosa ci sia, laggiù.
Tira a indovinare, spesso sbagliando.
“Io no, ma so come funziona”, fu la risposta di Bruno Savelli.
Aveva imparato in fretta che, per ottenere quello che serve, bisogna dire il minimo indispensabile e lasciar fare all’interlocutore.
Pozzo voleva collaborare, ma voleva farlo a maniera sua.
Cosa gli costava assecondarlo?
“Scommetto che è per via di suo figlio”, proseguì imperterrito l'altro. “Anche per me è così. Ci sta appiccicato tutto il giorno, scambiandosi cazzate coi compagni di classe. A stare a sentire i ragazzini, però, si imparano un sacco di cose.”
Pozzo fumava toscanelli, proprio come lui.
Se ne accesero uno ciascuno, in silenzio, rintanati ognuno nel proprio spazio vitale, dove quel tratto d’unione era visto come una banale coincidenza.
Un paio di boccate e il Commissario tornò a parlare.
“A me l’idea di imparare dai ragazzini non piace, ma se lei dice che è possibile, sono curioso di ascoltare qualcuna di queste perle di saggezza.”
Pozzo sorrise, il Maresciallo pure, ma le coincidenze continuavano a restare solo coincidenze.
Lo spazio vitale, per gente come loro, ha il contorno preciso del ruolo assunto nella società, e i ruoli sono fatti come le divise, stoffa rigida e linee dritte.
Pozzo, invece, stava recitando la parte del criminale spavaldo.
“C’è una cosa che mi ha colpito, in particolare. Un gioco. Il gioco degli animaletti.”
Pet Society. È così che si chiama, se non ricordo male.”
“Sì, sì, proprio quello, grazie.”
“Che c’è di interessante in quel gioco?”
“Ognuno ha un animale, che è amico solo degli animali delle persone che sono amiche sue. All’inizio del gioco viene assegnata una casa piccola e con poche cose. La casa fa parte di un paese con tanti negozi, tutti con roba bella e costosa, e dalle case degli amici.”
"Come le villette che stanno costruendo qua intorno.”
Pozzo annuì come fanno i maestri di scuola durante le interrogazioni.
“Proprio questo è il punto. Un paese fatto di singole case e di pochi negozi, tutti di proprietà dei gestori del gioco. Sa come si guadagnano da vivere, gli animaletti? Facendo visite e favori agli amici. Non un vero lavoro, qui ti pagano se vai a trovare gli altri animaletti, se li pulisci quando i proprietari se ne scordano. E più amici hai e più soldi fai, rendendo più bella non la città stessa, ma l’interno di casa tua.”
"Che sta cercando di dirmi?
Il maresciallo Savelli aveva capito dove stavano andando a parare, e quel posto non gli piaceva affatto.
“Che lei può pure arrestarmi, Maresciallo, e arrestare quelli per cui lavoro, e i capi dei loro capi, ma non servirà a niente.”
Savelli sospirò annoiato, Pozzo non era affatto il primo mafioso che arrestava a parlare come il personaggio di un brutto film americano.
“Il sistema è stato creato, ci importa solo della nostra casa e di guadagnare facendo favori agli amici. Questa città è Pet Society, la controlla chi l’ha costruita, a darle informazioni io non ci guadagnerei niente, e tutto sommato nemmeno lei.”
Per questa parte Savelli dovette riconoscere a Pozzo una certa originalità.
Anche l’interpretazione era stata da Oscar, coi gomiti appoggiati alla scrivania e il toscanello penzolante all’angolo della bocca.
“Torni a casa da suo figlio, ci parli un po’ di più e si limiti a fare quel poco che le garantisce di intascare lo stipendio mensile.”
Qui il maresciallo decise che poteva bastare.
“La smetta.”, gli intimò.
Pozzo mantenne la posizione, imperturbabile.
“Lei ha un amico, lo Stato, che la fa guadagnare poco. È zozzo come la morte, ma si fa passare per uno splendore per non cacciare fuori le monete d’oro.”
Sembrava un venditore, più che un criminale.
Uno di quei bottegai vecchio stampo, che fanno finta di tenerti da parte il prodotto migliore.
Pensando questo al Maresciallo Savelli venne voglia di baccalà.
Sua madre lo andava sempre a comprare da un norcino secco e lungo, che gli faceva una paura tremenda.
Senza nemmeno rispondere a quella provocazione diede l’ordine di portare via Pozzo.
Rimasto solo si affacciò alla finestra, tormentando il mozzicone di toscanello coi denti.
Pensò al quartiere dove abitava, una lunga via isolata puntellata da bifamiliari giallo senape.
Il giorno in cui l’aveva comprata sapeva benissimo a chi stava regalando i suoi soldi, ma ignorò volutamente la questione per via del prezzo più basso che era riuscito a strappare all’agenzia immobiliare.
Non sapeva se la storia del gioco fosse vera, ma la sensazione che il suo lavoro gli procurava, negli ultimi tempi, era quella di essere un animaletto dai movimenti limitati.
Schiacciò il mozzicone in un posacenere a forma di Colosseo, regalo del figlio andato a Roma in gita scolastica l’anno prima.
La giornata era lunga, e forse con un caffè sarebbe apparsa meno dura.
Bruno Savelli non era uomo da dubbi universali: animaletto o no sapeva che l'unica cosa che poteva fare era continuare il proprio lavoro.
Di proposte come quella di Pozzo ne avrebbe ricevute altre: bastava ignorarle.
O almeno così sperava.

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