sabato 2 novembre 2013

Punti fermi

Ogni tanto stare in silenzio fa bene.
È più facile individuare le priorità e ottimizzare le forze, senza contare quel surplus di riflessione che è sempre cosa gradita.
Perché bloggare? Per chi, soprattutto?
Me lo sono chiesto spesso, in questo periodo.
Avere un posto tutto mio mi è sempre piaciuto, Splinder prima e Livejournal poi sono state delle case dove ho lasciato un pezzo di cuore.
E non che stare lì sia stato sempre facile, anzi: spammer molesti, dissapori, strascichi di rancore, e poi ancora contatti che spariscono, stalker, troll etc... il blog si nutre del contatto con gli altri, ma il cibo che mangia è, talvolta, cibo avvelenato.
Non posso non sospettare che una piccola parte della mia gastrite debba ringraziare chi, in questi anni, ha contribuito a rendere l'atto di aprire caselle di posta/messaggi/chat più un sacrificio che un gesto quotidiano.
Per questo, una volta tanto, ho voluto provare a fare qualcosa di diverso, aprire un posto che servisse a me prima ancora che al contatto con gli altri.
Ma era un posto che concepivo come vetrina, più che come una casa, e questo ha procurato un'altra frattura.
Se si scrive per se stessi non si scrive per dovere, e se si scrive per dovere lo si deve fare bene, cercando sempre l'argomento più particolare, e la forma più originale per raccontarlo.
Scrivere un articolo è offrire agli altri la parte migliore di sé, mentre il blog comporta spesso l'esatto opposto, ovvero offrire la parte più impulsiva, emotiva, la meno attenta all'estetica del linguaggio.
Se vuoi una casa non puoi gestirla come faresti con un albergo a cinque stelle, al massimo come un accogliente bed&breakfast.
Che è la soluzione che vorrei provare ad applicare: non liste infinite di film/telefilm/libri assolutamente-da-vedere/leggere, non il mettersi in mostra in cerca di consensi, ma un conservare quanto di bello un'esperienza, quale che sia, mi ha lasciato.
E di queste esperienze, in questo periodo di silenzio, ne ho fatta più di qualcuna, per fortuna.
Il giorno del mio compleanno, pur con tutte le limitazioni del caso (partenza non prima dell'ora di pranzo, emicrania, caldo tropicale che ha reso più difficoltosi gli spostamenti a piedi e coi mezzi) mi sono regalata una visita alla Keats-Shelley House di Piazza di Spagna: un luogo che volevo visitare da tanto, e che non mi ha delusa, anzi.
Non solo mi ha lasciato un sacco di suggestioni che ancora, a distanza di quasi due mesi, mi porto dietro, ma mi ha anche permesso di acquistare il cartaceo di un romanzo, Abba Abba di Burgess, che si è rivelato davvero illuminante.
Se ora come sfondo dello smartphone ho il ritaglio di una foto che ho fatto alla Barcaccia è proprio per avere sempre dietro un ricordo di quella giornata.
Lo spirito di Keats l'ho sentito accanto, non tanto e non solo quando mi sono ritrovata per ben dieci minuti completamente sola nella sua stanza, dove mi sono sentita una ladra a scattare foto e dove comunque, subito dopo, sono stata in silenzio quasi senza muovermi, ma anche durante la pausa di lettura che mi sono concessa sul Pincio, con una granita alla menta a farmi compagnia.
Perfino dentro Trinità de' Monti ho sentito la sua risata, quando credevo che il custode volesse aiutarmi ad accendere la candela e invece era venuto a dirmi di mettere uno scialle sulle spalle, e sì che il vestito che portavo era privo di scollatura...
Roma mi ha fatto bene: non sono mai stata tipo da feste e regali in grande stile per cui scappare da lei in solitudine, godermi i miei tempi e la possibilità di parlare il minimo sindacale senza rendere conto a nessuno che non fossi io delle mie stesse scelte è più di quanto potessi sperare, visto anche come è andato l'anno.
Se ne sono accorti anche i miei a cena, me ne sono accorta io nei giorni successivi.
Roma è il primo scalino per arrivare a quella libertà di movimento a cui aspiro, e a cui devo mirare senza altri ripensamenti.
Sono stanca della vita che ho fatto in questi anni, dei troppi sì detti per quieto vivere.
Non posso essere l'unica a sacrificarsi, in questa casa, la mia salute e anche il mio carattere ne stanno risentendo.
Quando sono diventata una persona così invidiosa, cinica e disillusa?
Quando ho smesso di credere in me e non vedere più prospettive?
Quando mi sono persa di vista?
Io non lo so di preciso, ma se è vero che ammettere di avere un problema è il primo passo per risolverlo, io questo primo passo l'ho fatto.
E non voglio più fermarmi.

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